venerdì 20 aprile 2012

Steve McQueen su Hunger

Steve McQueen
Ho voluto mostrare quello che si vedeva, si ascoltava, si annusava e si toccava all'interno dell'H-block nel 1981. Ho voluto trasmettere qualcosa che non si può trovare nei libri o negli archivi: l'ordinarietà e la straordinarietà della vita nel carcere di Long Kesh. E tuttavia il film è anche un'astrazione del significato che ha morire per una causa.

Per me Hunger ha una risonanza contemporanea. Il corpo come luogo di lotta politica sta diventando un fenomeno sempre più famigliare. È l'atto estremo della disperazione: il corpo è l'ultima risorsa di cui si dispone per protestare. Si usa quello di cui si dispone, a torto o a ragione.



È importante per me che gli eventi siano visti attraverso gli occhi sia dei detenuti sia degli agenti penitenziari. All'interno del film deve esserci anche il tempo per riflettere. C'è una lunga conversazione tra Bobby Sands e un sacerdote cattolico in merito alla decisione di Sands di intraprendere lo sciopero della fame. Lo scambio diventa una partita a scacchi con una posta altissima. Devono discutere della natura del sacrificio. “La libertà significa tutto per me… Togliermi la vita non è solo l'unica cosa che posso fare, è anche la sola cosa giusta da fare”. Alla fine ci ritroviamo soli con un uomo che trascorre i suoi ultimi giorni nel modo più estremo che esista, ma che è a un passo dalla scelta di arrendersi e vivere. Anche la più semplice azione fisica diventa un'odissea.

In Hunger non c'è un concetto semplicistico di ‘eroe’ o ‘martire’ o ‘vittima’. Il mio intento è provocare un dibattito nel pubblico e sfidare i nostri principi morali attraverso un film.


Steve McQueen – Maggio 2008

Nessun commento:

Posta un commento